Enrico Bellone afferma nel suo Le molte Nature (2008) di trovarsi in accordo con le conclusioni di Einstein in merito alla natura fondante della scienza che, nelle parole dello scopritore della relatività è “un affinamento del pensiero comune” (A. Einstein 1936, p. 528). Tale pensiero comune è l’artefice di una selezione inconscia che conduce a stabilire cosa, nel flusso continuo di dati sensoriali che riceviamo, possa essere considerato “oggetto corporeo”.
L’atto primigenio e fondativo di tutta la conoscenza, coincide con un processo di reificazione, che dal senso comune, viene assorbito nel paradigma scientifico dominante e che stabilisce dunque l’oggetto e la sua collocazione nella dimensione dello spazio-tempo, anch’essa risultante da un processo costruttivista.
Com’è evidente Einstein sostiene che gli esseri umani, a livello di senso comune, costruiscono, alcuni enti a partire da dati sensoriali, e attribuiscono a quegli enti uno statuto di realtà. Una costruzione che accomuna i vari costruttori, i quali trovano un buon accordo nel mettere cose nello spazio e nel tempo in modo da muoversi nella “realtà esterna” (Bellone 2008, p. 115).
Nel percorso tracciato da Bellone emerge chiaramente come queste costruzioni siano relative ad un periodo storico e ad una corrente scientifica dominante che, come vuole la “danza” kuhniana, subiscono dapprima una consacrazione e poi, come ogni sistema, raggiungono la loro “biforcazione catastrofica” e si avviano verso il collasso.
Tra i concetti scientifici che subiscono tale dinamica di ascesa e declino vi è quello di oggetto corporeo la cui famiglia è “instabile, sempre soggetta a operazione di bonifica” (Bellone 2008, p.116).
Molti secoli prima della trattazione di questo tipo di concetto da parte della fisica moderna con Laplace, Galileo, Newton, già Democrito e Leucippo avevano fornito la loro risposta in merito all’individuazione dell’elemento ultimo e fondante la realtà. E’ da qui che, infatti, si pongono le basi per il pensiero atomista, destinato a raggiungere una così ampia eco nel futuro costellato dalle eccitanti scoperte della scienza moderna.
Heisenberg riconosce il grande apporto, seppur solo filosofico, di Democrito nella formazione di una visione di senso comune atta a concepire la realtà come costituita, in ultima analisi, da piccoli mattoncini di massa, indivisibili e privi di qualsiasi qualità sensibile. Gli atomi si muovono e interagiscono all’interno di uno spazio vuoto che sarà un elemento fondamentale anche per la fisica di Newton, prima di venire definitivamente aborrito dagli studi della meccanica quantistica in cui sembra riconfermarsi il vecchio adagio aristotelico dell’horror vacui.
Alcuni vedono nell’antica filosofia atomista democritea un’ anticipazione di alcuni principi che derivano dalla reificazione e dalla definizione di oggetto corporeo e dalla sua collocazione in uno spazio vuoto, che saranno centrali per la scienza moderna.
La visione di Newton, nonostante i sorprendenti risultati che in quegli anni si profilavano in merito allo studio delle forze magnetiche, rimase una visione strettamente materialista, incentrata sulla disseminazione di particelle e circuiti di cariche elettriche in un grande contenitore, lo spazio, dotato solo di proprietà geometriche.
E’ con Faraday che questa scissione tra materia contenuta e spazio contenitore viene messa in discussione attraverso la scoperta di quello che egli nomina continuum e che emerge dall’osservazione del fenomeno magnetico:
Il continuum di Faraday … era un intricato aggrovigliamento di di curve -le linee di forza- la cui forma era governata dalla presenza di entità puntiformi che agivano come sorgenti da cui scaturivano le linee di forza, o come pozzi in cui tale linee scomparivano. Gli enti puntiformi non erano corpuscoli forniti di dimensioni, e lo spazio non era il loro contenitore passivo. Non esistevano insomma atomi materiali disseminati in un’enorme scatola: esisteva soltanto una struttura continua in cui si fondevano insieme materia e geometria, e al cui interno operavano soltanto azioni per contatto mediate dalle linee di forza ( Bellone2008, p. 126).
Nel 1865 Maxwell fece confluire il continuum di Faraday nella teoria del campo elettromagnetico e nel 1897 Thomson scopriva l’elettrone che apriva la strada a nuove svolte teoriche e ai paradossi quantistici.
Si pensava, infatti, che ad essere messo in discussione non fosse il concetto di ente materiale indivisibile e fondativo della realtà, ma semplicemente il livello nel quale fin’ora si credeva di averlo individuato. Bastava semplicemente spostarsi verso una scala più microscopica e l’oggetto, l’ultimo elemento della realtà, avrebbe confermato tutte le precedenti ipotesi riduzioniste. Fu proprio la fisica quantistica, però, a svelare che anche le particelle subatomiche come gli elettroni non avevano nulla a che fare con l’oggetto solido postulato dall’atomismo e dalla visione scientifica classica.