Femminile sacro: guarire la radice

Da una domanda fatta ai Registri Akshici dalla mia Maestra Elena Sassetti, è emersa un’informazione molto importante per il collettivo femminile che mi sento oggi di condividere con voi…

Da quello che ci hanno riferito i Registri una delle ragioni di profonda sofferenza e affaticamento che gravano sul nostro collettivo, deriva da una egregora disarmonica e inautentica che è presente nel campo morfico e che riguarda il tema della morte.

Nel mondo contemporaneo, a seguito della caduta e rimozione della connessione con la Dea e con il Sacro, l’idea, il concetto, l’archetipo collettivo della morte ha subito un enorme processo di mistificazione.

Il sacro femminile è intimamente connesso con la Morte, poichè la donna è il canale privilegiato che permette il passaggio dal mondo invisibile a quello visibile, così come da quello visibile a quello invisibile.

Anticamente le sacerdotesse, le iniziate, si preparavano ad accompagnare il momento del trapasso del defunto come ci si prepara ad una nascita. Le “ostetriche della trasmutazione” erano tali perchè sapevano condurre l’anima del defunto attraverso la soglia, il portale d’ingresso del mondo invisibile e nel fare questo accompaganvano il corpo a trasformarsi, sciogliendo i suoi elementi, per ricondurlo alla luce.

La Morte è dunque UNA NASCITA ALLA LUCE, è ancora più importante della nascita, è la vera rinascita, la vera celebrazione, perchè avviene dopo che l’anima incarnata ha percorso il suo sentiero di prove durissime e incredibilmente evolutive qui sulla terra. Questo passaggio viene dunque vissuto come una festa dall’altra parte del velo e il defunto accolto come una persona cara che ritorna a casa a seguito di un lungo viaggio.

La Morte oggi viene invece vissuta come una tragedia che ha dell’irreparabile, come la perdita di ogni speranza e fine di ogni illusione. Ho sempre pensato che una Società fondata sul credo profondo che il fine che l’aspetta sia terrificante, inaffrontabile per la psiche e per questo da rimuovere, non possa che essere una Società psicotica e dissociata. Come si può, infatti, vivere nella piena beatitudine quando il fine ultimo verso cui si procede è visto come un evento inaccettabile? Tutta la nostra Società è impegnata strenuamente a rimuovere la morte attraverso l’esaltazione e la glorificazione dell’Io. Tutto viene fatto di corsa, si corre sempre anche quando non si ha niente da fare, una fuga continua da se stessi e dall’idea della propria impermanenza e mortalità. Fermarsi nella quiete è troppo difficile per l’Io che vede in quella stasi il pericolo della sua dissoluzione, così l’azione continua, cieca e inconsapevole, è il giro sulla ruota che permette di non vedere, non sentire, non essere.

Le antiche sacerdotesse, le antiche psicopompe, sapevano bene che l’essere è un atto simultaneo di vita, morte, vita. Questo movimento triadico in cui è nascosta la legge del paradasso è familiare ai viaggiatori spirituali che sanno di dover morire e trasmutarsi molte volte nel corso della vita, fino ad arrivare temprati all’ultima prova e liberi della paura, proprio come il serpente che ha vissuto più e più volte la sua desquamazione, o come l’aquila che distrugge il proprio becco e si strappa una ad una le penne prima di spiccare il volo in un corpo nuovo. In tutti questi passaggi di morte in vita e di ultima morte, esiste una Dea che ci porta per mano, accompagnandoci negli abissi e vegliando su di noi in quell’intervallo di oscurità totale quando le luci di un mondo si spengono e si attende l’accendersi delle nuove. In quest’anticamera oscura non siamo soli mai, ma, sempre Lei, l’eterna, la venerabile, la sacerdotessa è presente, per sussurarci che anche quell’oscurità è un’illusione, una prova per l’Io che necessita di perdere il controllo e la falsa credenza della sua importanza personale.

Dunque, la morte, il canale finale, il passaggio dal di qua al di là, andrebbe reinterpretata alla luce di queste premesse: come una trasmutazione alchemica del corpo di materia in corpo di luce. La donna che accompagna il morente in questo passaggio impara l’arte della trasmutazione alchemica perchè ha l’onore di vivere il momento in cui le porte del regno celeste si aprono e lasciano in questo mondo la scia della loro luce.

Allora, quest’arte diventa praticabile anche tra i vivi ed è per questo che la donna possiede la capacità naturale di guarire, di sanare e liberare, proprio per la sua vicinanza e identificazione con la soglia.

Che cos’è la magia se non la capacità di trasformare il piombo in oro, la finitezza dell’io in esperienza di assoluto?

Cambiando la prospettiva sulla morte e concependola, nel profondo, come un dono di trasmutazione, è possibile anche liberare le antiche arti di sabiduria e sanazione femminile dal macigno del senso del male, dell’oscuro e del negativo.

Poichè non esiste ombra nell’universo che non contenga la più grande e radiante scintilla della luce!

Con amore e gratitudine

Irene Adi Rahimo Conti

Chinnamasta la Dea che si automutila e il segreto del sacrificio

Per chi è sulla strada di crescita spirtuale, per tutti coloro che sono alla ricerca della piena realizzazione attraverso l’individuazione di una via del Sacro, è forse apparsa più volte chiara la comprensione che questo tipo di cammino sia fatto più di “togliere” che di “aggiungere”. La via dell’autentica spiritualità, infatti, ci porta non già alla suprema riuscita dell’Io, ma al suo disfacimento, al rinunicare ad ogni maschera e corazza per darci nudi al ricongiungimento con la nostra stessa eterna essenza. Le tappe di questo cammino sono dunque costellate da “sacrifici”: atti attraverso cui dimostriamo il nostro coraggio rinunicando ai piccoli attaccamenti per donarci a qualcosa di più grande che non offre alcuna certezza, che non può essere misurato e che, nonostante questo, è l’unica ultima realtà impermanente ed imperitura.

Lo sapevano bene gli antichi indu che veneravano questa Dea. Chinnamasta ci conduce ad un messaggio di una potenza inaudita. La Dea è rappresentata in modo cruento: tiene la sua stessa testa tra le mani e con il sangue che sgorga a fiotti violenti dal collo tranciato, abbevera le sue assistenti e se stessa.

In questa veste la Shakti cosmica è rappresentata nell’atto supremo del darsi e del liberarsi. Ai suoi piedi, vi sono i due principi primi, nella loro veste terrena, rappresentati come Re e Regina uniti in un amplesso tantrico.

Ciò che questa immagina potentemente ci suggerisce è che l’unione erotica, nel principio del tantra, è possibile solo a mezzo del sacrificio di sè, della perdita di sè, della perdita della mente, che è affermazione dell’Io, controllo e potere. Chinnamasta esegue l’atto di liberarsi dagli attaccamenti dell’Io in modo violento, deciso, senza temere le conseguenze, sa che il sacrificio significa in realtà abbondanza, potenza, prosperità, perchè è solo quando siamo molto pieni, pieni fino all’orlo di noi stessi che possiamo darci la possibilità di straripare senza temere conseguenze, senza il rischio di sentirci svuotati dalle nostre energie, poichè in questo stato di pienezza il darsi significa ricevere abbondanza e piena realizzazione.

La donna Chinnamasta è colei che abbandona, nella sua vita storica, le convenzioni e le maschere sociali, che lascia la casa, il lavoro sicuro, il compagno storico per gettarsi a capofitto nel viaggio verso il deserto. Nel deserto la sua anima si riflette e trova serenità, poichè il deserto, proprio come lei, ha rinunicato ai suoi frutti, per dare se stesso, spoglio, nudo, arido, senza filtri, alla vastità del cielo e del sole. La donna Chinnamsata è una donna che predilige il nomadismo alla stanzialità, che fatica a mettere radici poichè ha dentro di sè una chiamata radicale verso il risveglio. Deve combattere le estenuanti forze della mente del mondo che ha paura delle donne come lei, poichè le donne come lei, non avendo nulla da perdere, sono libere e incontrollabili. Su queste donne la pressione sociale e il condizionamento devono deporre le armi. Chinnamasta si fa liberatrice di altre anime. La sua vita è interamente data al servizio dell’Opera, getta sè stessa ogni giorno al di là dell’ostacolo con lo scopo di liberarsi e, allo stesso tempo, liberare quante più anime possibile.

Ha superato la dualità, rappresentata dai due principi che vengono alimentati dal suo stesso sangue.

Negli antichi rituali tantrici, il sangue era un elemento centrale, insieme ai fluidi corporali della donna e dell’uomo, veniva annusato, manipolato, ingurgitato. I fluidi del corpo sono per i discepoli del tantra le fonti condensate del vero risveglio, là dove lo Spirito del praticante può unirsi con la manifestazione della Madre, della Natura, nelle sue espressioni più istintuali, animalesche e selvagge. Per questo era necessario beve il sangue della propria amante, bere il seme del proprio amante.

In molte tradizione troviamo il mito dello smembramento, del cadavere, dello scheletro, legato proprio a questo signficato di estremo sacrificio rituale.

In un’altra tradizione più lontana, quella degli Inuit dell’artico, troviamo un’altra Dea, dalla cui mutilazione hanno origine le ricchiezze del mare e dei suoi abitanti, che è Sedna, a cui ci dedicheremo in un altro articolo.

Quello che conta, il messaggio che vive in questi miti, è che da ogni perdita radicale e assoluta si genera un bene prezioso. Sacrificare sè stessi vuole anche dire sacrificare il proprio io sociale per far valere, in ogni momento, la propria autenitictà senza temere di venire per questo derisi, esclusi, giudicati. Significa fare della propria originalità e diversità un punto di forza da cui partire per elaborare e condividere la propria visione, andare oltre l’omologazione. Perdere parti di sè, come nel caso dello smembramento rituale, significa dare se stessi e il poprio corpo all’Unione con il Divino che, in fin dei conti, è il significato più puro della vita, dal momento che, sulla via del sentiero del risveglio, il corpo viene bruciato, martoriato, smembrato allo scopo di permettere alla luce di entrare.

I sacrifici rituali, i veri sacririci, e non quelli della mortificazione cattolica a cui siamo stati educati, tolgono per poi dare quintuplicato il valore di ciò che è stato dato e richiedono corraggio e non abnegazione. Richiedono Forza e non sottomissione, sono i sacrifici che rendono possibile il crollo degli ostacoli che si frappongono nel nostro cammino attraverso l’urolo viscerale e l’audacia di Chinnamasta.

Evoca la forza di questa Dea quando ti trovi nei momenti di svolta della tua vita. Quando tutto sembra cambiare radicalmente e rapidamente. Quando sembra che il mondo ti stia crollando addosso, ma è solo per mostrarti il cielo. Quando stai vivendo il bruciore della perdita, prega Chinnamasta, datti a lei, e abbi fede perchè trasformerà quella ferita aperta in dono, in miracolo, attraverso l’emergere di un significato più ampio del tuo stare al mondo, attraverso ispirazioni, opportunità e conoscenze inaspettate.

Perché andare verso l’amore ti conduce alla padronanza

Cerchi intensamente l’amore vero nel corso della tua vita ed esso ha assunto, nel corso del tempo, diversi volti. Sei passato e passata dall’amore verso tuo Padre e tua Madre, da quello per il tuo compagno di banco delle elementari, a quello per l’ insegnante, fino all’amore per il fidanzato/a, compagno/a, marito/moglie.

Tutti questi amori, se li guardi bene, ti hanno suggerito qualcosa di te. Hai visto in tutti questi Partner dei potenziali di ciò che tu desideravi diventare. L’amore ti ha, ogni volta, chiamato a sperimentare questi aspetti potenziali, ancora lasciati nell’ombra, apprendendo nuove lezioni, aggiungendo un frammento in più di te al grande arazzo che è il magnifico e glorioso disegno della tua anima.

Certo, poi ci sono stati e ci sono gli incontri e scontri con quei lati di te, visti nell’altro, che proprio non ti piacciono e si sperimentano difficoltà di ogni genere dovute alla mente che si infiltra nell’esperienza poetica e assoluta dell’Amore per togliergli potere, per insinuare il dubbio, la paura, la negazione.

Ciò che infatti è l’Amore terrorizza la mente e più l’esperienza d’Amore sarà autentica, intensa e magnetica, più la parte dell’ego, che è la Mente, cadrà nel panico e cercherà in tutti i modi di ingabbiarla, controllarla, misurarla, così quell’Amore che può sopravvivere solo nella libertà dell’Anima, viene soffocato e muore.

Pertanto, per rimanere innamorati, per far sopravvivere l’estasi dell’amore puro è necessario accogliere la chiamata al risveglio. E’ necessario trasmutare il proprio corpo-ego fino in fondo, fino a che esso non si mostri ai nostri occhi per ciò che realmente è: luce.

Tutte le relazioni, eccetto pochissime eccezioni, si basano sul controllo e la paura. Si basano sul bisogno di conferme, sulla dipendenza, sul mutuo aiuto, sul dovere.

Certo, queste relazioni fanno stare bene, apparentemente, poiché forniscono sicurezza, protezione, un senso di appagamento per l’ego che si crogiolerà nelle attenzioni e nel complimento dell’altro, ma, alla lunga, ci si accorgerà che quella fragranza originaria è andata perduta, perché abbiamo chiuso in una gabbia il più sacro e meraviglioso uccello del paradiso.

Permanere nella condizione dell’amore puro, significa non accettare alcuna barriera imposta dalla mente, sperimentare tutte le paure legate all’abbandono, al tradimento, alla solitudine, percependole come le altre facce illusorie di un Amore che nessuno ci potrà mai togliere perché è il fondamento, la quintessenza stessa, della nostra anima.

L’Amore, dunque, ha il potere di scarnificare tutto ciò che non è quintessenziale. Scarnifica il tuo stesso corpo, la tua stessa mente, e nel farlo, libera e ibera ancora. Un amore impossibile, osteggiato, in cui non veniamo o non ci sentiamo corrisposte/i è uno dei motori più potenti di risveglio, per bruciare ciò che non è essenziale e aprire nuove possibilità oltre l’ego, oltre la mente.

L’Amore è un’esperienza che può accadere solo nel momento presente. Non esiste in realtà uno svolgimento diacronico dell’esperienza erotica, poiché essa, proprio come il Mito, la Poesia, l’Arte, accade sempre e non accade mai. E’ un’esperienza di unione con il presente e dunque accade solo al di fuori dalla mente.

Permanere nello stato d’Amore puro, indipendente dalla presenza o meno di un oggetto della relazione con cui condividere questo stato di stillness, come direbbero gli americani, o di “quiete accesa” come direbbe il nostro Ungaretti, significa aver travalicato i confini dell’Io individuale ed essersi riuniti con la Shakti, il potere creativo cosmico, universale.

In questo stato di piacere immoto, o orgasmo cosmico, siamo davvero liberi dalle illusioni della mente. Dal dolore della mancanza, dal conflitto, dall’illusione della separazione e dall’attaccamento.

Ciò che è diviso non è mai separato, ma, nello stato di attenzione cosciente, sempre si manifesta come sacra Unità.

Reintegrare le polarità opposte in unità è, in una continua danza a spirale, una ricerca del Sacro Graal, un processo alchemico in cui il nostro corpo è protagonista.

Si disintegra la materia per riportarla alla luce, dalla luce ci si riunisce alla materia per atto di puro amore.

Si percorrono queste strade più e più volte, si muore più volte e più volte, fino a conoscere la luce della nascita.

Con amore e gratitudine

Irene Adhi Rahimo Conti

Arkeodèas

Workshop a indirizzo immaginale

Intorno alla relazione tra visibile e invisibile ruotano grandi interrogativi filosofici. Le nostre credenze religiose separano il cielo e la terra, questa vita e l’altra vita, e il nostro pensiero filosofico divide la mente dalla materia: religione e filosofia hanno scavato un abisso tra visibile e invisibile. Che strumenti abbiamo per trasportare il non visto nel visto? O il visto nel non visto?

James Hillman


Arkèodeas è un’esperienza di viaggio per portare l’invisibile nel visibile, per dare forma all’informe, al non nato, a ciò che, dall’altra parte del velo, incessantemente ci sussurra all’orecchio parole di amore e consapevolezza.

La medicina della coscienza sarà la medicina del futuro. Detto in altri termini, l’unico modo che abbiamo per vivere una vita realizzata è quello di reintegrare le parti frammentate della nostra psiche somministrando un farmaco raro: la verità.

La verità è pura e semplice, ma non può essere trovata fintanto che l’essere umano non si fa canale per manifestare l’invisibile in questo mondo.

Un invisibile che chiede di essere solo riconosciuto per donarci, in cambio, ispirazione e realizzazione.

La realizzazione sta nel risveglio ai noi stessi, alla missione che siamo venuti a compiere, il risveglio sta nell’incontro con l’unica radice del tempo: l’immortalità.

…Se entri in questo mondo non troverai te stesso, perchè te stesso non esiste, tu sei il velo, sei la soglia, sei il passaggio e come tale non puoi fare altro che darti, danzando tra una dimensione e l’altra…

Un Workshop per sanare in profondità il femminile arcaico

La dimensione del sacro femminile non appartiene al genere femminile, appartiene a chiunque, è una dimensione di esistenza basata sulla compassione, la bellezza e la gentilezza.

Non sarà possibile al divino manifestarsi in questa terra se prima non guariamo il nostro femminile profondo, non permettiamo alla compassione di emergere e di divenire unico faro e luce per guidare le decisioni politiche, etiche, i valori morali.

La compassione non è tollerante proprio perché vuole tagliare le catene che legano gli individui ai pregiudizi, ai condizionamenti e alle limitazioni, affinché divengano liberi.

La compassione può divenire guerriera per difendere il diritto di tutti ad esistere come Anime di luce e non come strumenti in mano al condizionamento della Mente Sociale.

Il femminile arcaico ha oggi un profondo bisogno di essere guarito dallo stato di schiavitù, sottomissione, svalorizzazione a cui è stato sottoposto da secoli e secoli di violenza maschile e religiosa che lo hanno indotto ad una condizione cronica di colpa e martirio interiorizzato.

Le donne di oggi hanno la necessità di realizzare la loro Anima poiché da questo dipende la sopravvivenza stessa del Pianeta: la Grande Madre che attraverso le sue figlie, comincerà a guarire dalle sue ferite.

Proprio come sono stati riversati veleni, tossine, emissioni inquinanti, nell’ecosistema, lo stesso è stato fatto al corpo della donna che è una sola cosa con Gaia. Mente e corpo della donna sono avvelenati fin nelle più recondite profondità. La donna ha un urgente bisogno di risvegliarsi dalla fantasia romantica dell’amore che la induce in uno stato di torpore, dipendenza, bisogno e sottomissione. Ha necessità di guardare ai suoi talenti e di non cercare più al di fuori di sé la fonte della propria salvezza e del proprio senso di vita.

Spetta alla donna portare sulla terra il divino maschile, il maschio realizzato. Per rendere questa unione fondata sul matrimonio mistico possibile, deve prima guarire il suo terreno fino a farlo fiorire, fino a realizzarsi.

Il mito come codice dell’invisibile

….I miti scivolano nell’invisibile. Mostrano un viso ammaliatore, ma ciò che hanno dietro, quando li scrutiamo da vicino, svanisce. Non c’è più niente. Siamo smarriti nella foresta. …

Il mito, dicevano gli antichi, è ciò che non è mai accaduto, è ciò che accade sempre.

Le nuvole cambiano costantemente forma, assumono forme di streghe, angeli, ippogrifi…Sembrano tessere nel cielo il racconto del mondo….

Questo fa il mito. Il mito è e non è, viene plasmato, trasformato, scivola in versioni diverse, si fa cupo, si fa luminescente, è buono, cattivo, vero, falso…lascia sempre qualcosa di inafferrabile alla coscienza…e cos’è quel qualcosa? E’ l’invisibile stesso.

Il mito cresce in menti abituate a relazionarsi con gli eventi naturali come se fossero spiriti…con animali come fossero guide…con la terra come se fosse una Madre, con il cielo come se fosse un Padre…

Per questo i miti sgorgano con facilità nelle menti di esseri umani liberi e capaci di dialogare con le forze naturali. L’essere umano mitico sa che il suo corpo è solo un miraggio, che presto tornerà al fuoco, alla roccia, al vento e che sono proprio questi elementi a tenerlo unito. Senza la pioggia e il temporale il suo corpo si disgregherebbe, senza il sole appassirebbe. Le donne che danno alla luce figli, danno figli alla terra, all’acqua, al fuoco, dando alla luce la vita e insieme lo spirito che si fa carne, ma che è allo stesso tempo legato alla sua radice immortale e che quindi non ha alcun corpo, alcuna sostanza, appartiene allo scorrere delle cose.

Nel rimescolio e nel farsi e disfarsi delle cose esistono sostanze numinose e magiche che sostengono la vita e che da questa sono sostenute, disgiungersi da queste forze magiche sarebbe un’eresia, in grado di condurre l’uomo facilmente alla follia e alla dissoluzione.

Come si fa a tener vivo il rapporto con queste forse vivificatrici per ottenere da loro protezione e perché la vita continui a conservarsi? A queste forze si predispongono riti, sacrifici e si onorano attraverso il racconto mitico che le decodifica per portarle nella dimensione visibile. Nella dimensione visibile le forze vengono narrate, ma non imprigionate, perché un’idea, che è un Dio, riportata in vita attraverso il mito, porta di quel Dio, di quell’idea, il profumo stesso, ne è pervasa.

Il pensiero mitico è un pensiero che ha la saggezza di creare porte ed entrate per permettere alle forze magiche di passare e manifestarsi, è un modo per garantire un ordine e non permettere allo spirito della comunità di disgregarsi e cadere in mano alle forze della paura.

Non fare questo, non sacrificare, non officiare, non aprire le porte alla dimensione dell’al di là, non narrare, condanna la storia del mondo all’oblio.

La caratteristica del mito è l’oralità, nel mondo che precede la scrittura, l’essere umano è assorbito dal senso dell’udito, più che da quello della vista. Il nostro mondo di oggi si basa sul vedere, il mondo del passato si basava sull’ascoltare. Il senso dell’udito rendeva l’essere umano coesistente con la dimensione che lo ospitava che non veniva dissezionata e analizzata come accadrà poi entrando nel dominio della vista.

L’oralità ha anche la caratteristica di essere irrepetibile. Il racconto non scritto è un mutaforma, perché non è confinato nella pagina. Resta appannaggio dell’infinito, dell’incredulità e della meraviglia.

Il mito come chiave di guarigione per il femminile arcaico

Chi sono le donne del mito e quali storie raccontano?

Esisteva forse una saggezza nelle donne che ci hanno preceduto, in grado di lasciare chiavi di liberazione là dove meno uno se le aspetterebbe? Nella mia ipotesi, i miti contengono queste tracce poiché sono stati generati in un mondo libero e sono universali e atemporali, sono in grado di spezzare le catene della storia e restituirci rinnovate al mondo. Sono rivolti all’intero genere femminile. Sono transculturali e parlano direttamente all’inconscio collettivo. I miti sono in grado di trasformare il nostro DNA. Nati in una dimensione di tempo, sono stati generati per venire in soccorso alle donne di questo tempo, in una delle fasi più difficili della loro storia, dove occorre urgentemente una deprogrammazione dal mito sociale per un ritorno al mito naturale.

Quale strumento?

Non è sufficiente fruire passivamente la trasmissione del racconto: c’è bisogno anche di altro, uno strumento che faccia riportare ad una dimensione materica, istintuale e creativa, la narrazione del mito.

Il mediatore artistico è ciò che più avvicina la donna alla sua dimensione istintuale e sensuale. Non possiamo però utilizzare un mediatore artistico che necessiti di troppa tecnica, è indicativa un’arte di tipo figurativo che sia di immediato accesso a chiunque. Il collage si presta molto bene allo scopo, perché sono necessari materiali semplici, di largo consumo e spesso riciclabili. Si possono adottare, oltre ai ritagli di giornale, anche altre materiali come perline, tessuti, stoffe, conchiglie, bottoni e mano mano, nel corso degli incontri, inserire anche tempere, acquerelli, acrilici, ecc…

La cosa più importante è che la creazione resti il più possibile libera da ogni schema e ansia da prestazione. Non ci interessa creare nulla di tecnicamente perfetto, ci interessa esprimere un’emozione nella forma di archetipo.

Le immagini di arkeodéas sono uniche e allo stesso tempo, semplici, sono immagini di volti, abbinate a luoghi naturali, piante, fiori, animali, o altri elementi simbolici.

Queste immagini risultano fedeli riproduzioni di quello che è il terreno psichico della donna. Sono un’istantanea fotografica del loro mondo interiore, che si esprime nella forma di un archetipo.

Secondo le mie ricerche, esiste alla base di ogni patologia, sia essa psichica che fisica la narrazioe di un archetipo, che è immaginabile come una nota della scala musicale. Ciascuno di noi nel momento della sua nascita, ha l’impronta di un suono (o archetipo) che sarà chiamato a “narrare” in vita.

Questo perché gli spiriti amano farsi riconoscere in questo modo, raccontando la propria stessa vicenda, nel corpo e anima dei loro “prescelti”. Il trauma è spesso un’indicazione di ciò che è l’archetipo dominante che stiamo portando sulla scena. La strada è in realtà vedere secondo la logica del paradosso questo aspetto, l’archetipo (o archetipi) che ci governano ci danno una via d’uscita dal trauma e dalla recita nel momento in cui ne riconosciamo le fattezze e li “riesumiamo” dall’oblio della nostra stessa coscienza. Facendo così creiamo un pantheon psichico in cui ciò che ci ha fatto ammalare diventa il nostro nume tutelare, si trasforma nel genio, nel daimon.

La sfida del polo femminile nel passaggio tra la 3D e la 5D

twinflameIn questo articolo vorrei parlare dell’intensa trasformazione energetica che molti di noi stanno sperimentando nel passaggio dalla terza alla quinta dimensione, focalizzandomi sul modo in cui tale trasformazione sta impattando il  polo femminile, presente in noi a prescindere dal notro sesso biologico.

La terza dimensione è il mondo materiale che ci circonda e che siamo abituati a vedere, toccare, percepire e considerare come unica realtà esistente fuori di noi. In questa terza dimensione l’energia dominante è quella della paura e i nostri sforzi sono orientati al tentativo di sopravvivere e a quello di piacere agli altri, in modo da non trovarci mai soli e portare con noi un’immagine interna di amabilità.

Mentre il polo maschile è più impegnato nella sfera della lotta per la sopravvivenza, quello femminile vive la sua battaglia nell’ambito delle relazioni, della cura di sè e degli altri, nel dare-ricevere amore, nell’ambito dell’amabilità, confrontandosi molto spesso con i temi del giudizio che riguarda la dimensione dell’essere più che quella del fare (che è invece una dimensione di giudizio che tocca maggiormente la controparte maschile).

Il nostro polo femminile decide di compiere la sua missione di sviluppare capacità di nutrimento infinito e di amore incondizionato nella terza dimensione, andando incontro ad una serie di ostacoli, paure, traumi che derivano proprio dal trovarci in questa specifica dimensione di coscienza.

Nella terza dimensione possiamo osservare una caratteristica importante nella nostra anatomia energetica: ci nutriamo e nutriamo gli altri attraverso cordoni simili a tentacoli energetici che pendono dal nostro corpo e questo nutrimento ci ricarica e ci fa stare bene. I cordoni però, proprio come il cordone ombelicale, fanno sì che il nostro nutrimento dipenda dagli altri e, di conseguenza, ci portano a restare invischiati in legami contro evolutivi per la semplice paura di rimanere senza cibo energetico.

I cordoni però, proprio come il cordone ombelicale, fanno sì che il nostro nutrimento dipenda dagli altri e, di conseguenza, ci portano a restare invischiati in legami contro evolutivi.

Il fatto che il nostro senso di amore interno dipenda dall’esterno ci porta a subire, a volte per una vita intera, comportamenti tossici e dannosi da parte di persone del nostro ambiente di vita, semplicemente perchè il nostro amore per noi stessi dipende dall’amore per gli altri e  far valere ciò che vogliamo e che ci fa stare bene implica, nella nostra logica 3D, perdere l’amore degli altri e di conseguenza l’unica forma di amore che pensiamo di poter sperimentare.

Il conto da pagare però è una lotta continua che vede schierati da una parte i propri desideri e dall’altra quelli degli altri. In questa lotta ci sentiamo egoiste e meschine quando mettiamo i nostri desideri al primo posto e impotenti, stanche, vulnerabili, frustrate, quando cediamo, ancora una volta, sacrificando i nostri desideri più autentici per il bene degli individui di cui ci prendiamo cura o che fanno parte del nostro ambiente di vita.

Che cosa avviene con il passaggio alla 5D

Il momento in cui stiamo transitando da una dimensione all’altra è il più difficile e delicato: alterniamo momenti in cui proviamo un senso di benedizione, estasi e unità con noi stess* a momenti in cui sprofondiamo, nuovamente, in emozioni di profonda tristezza, rabbia, paura. Stiamo ripulendo tutte le densità del nostro corpo e questo implica un lavoro estremamente faticoso, sfibrante ed estenuante sotto il profilo fisico, psicologico ed emotivo.

L’accelerazione  con cui questo lavoro avviene ci fa spesso avvertire di essere su una montagna russa che non si ferma mai e ci sono momenti in cui vorremmo solo poter scendere.

Piano piano, però, ancorandoci sempre di più alla 5D iniziamo a costruire nel nostro pensiero nuove credenze che sostituiscono le vecchie, nuove connessioni neuronali vengono formate e prendiamo confidenza con un modo tutto diverso di sentire e percepire la realtà intorno a noi.

Relativamente alle relazioni in una prima fase può essere possibile sperimentare un senso di disconnessione dalle persone da cui abitualmente correvamo appena cominciavamo a percepire un senso di vuoto interno o un bisogno di nutrimento.

A questa fase può accompagnarsi la paura di essere diventati indifferenti e insensibili, la paura di restare soli, la paura di non essere più amati.

Si tratta di un processo di ricalibrazione in cui, a livello di anatomia energetica stacchiamo i nostri cordoni da quelli degli altri ed entriamo nel cuore.

E’ un lavoro davvero arduo, possiamo sentirci in colpa per non desiderare più le vecchie relazioni tridimensionali, ma ci rendiamo conto di non poter più provare quello che provavamo prima, tutto è diverso per noi. Le vecchie relazioni si ricalibrano insieme a noi, quelle che rimanevano in piedi per qualche debito karmico, vengono dissolte naturalmente, quelle che invece hanno un valore evolutivo rimangono, trasformandosi. Arrivano nuove persone che vibrano alla nostra stessa frequenza e può avvenire qui l’incontro con la propria Fiamma Gemella.

Il nuovo pattern relazionale che prende forma nella nostra vita ha come centro focale l’esperienza della libertà e dell’indipendenza. Il polo femminile è finalmente libero dal campo di battaglia relazionale in cui dare amore significa perdere sè stess*, qui l’amore non è più personale, non è più condizionato, non è più dipendente, ma sgorga da una sorgente di infinito potenziale e di infinita consapevolezza. Non ci sono obblighi, doveri, sacrifici: l’amore di quinta dimensione è possibile solo se amiamo profondamente noi stess*. La cosa bizzarra è che quando veramente arriviamo alla fonte centrale dell’amore (il sacro cuore), non abbiamo più bisogno dell’amore degli altri, non abbiamo più bisogno del sentirci amati ed è proprio allora che l’amore arriva copioso e in abbondanza e, questa volta, senza vincoli nè condizioni. Abbiamo trasformato il bisogno in potenziale e il potenziale prende forma ogni giorno per poi trasformarsi di nuovo traendoci in un flusso di consapevolezza senza fine.