Ci è stato insegnato a percepire come distinti i momenti della giornata che viviamo, settorizzando in segmenti l’esperienza di vita che facciamo in questo mondo. C’è, ad esempio, il momento del lavoro, che è distinto e separato da quello dello svago. C’è il momento dedicato alla vita sociale e quello che riserviamo alle nostre passioni. Così la vita viene divisa in momenti piacevoli, come i periodi di vacanza, e in momenti noiosi come le incombenze burocratiche, le file alle poste, la compilazione della dichiarazione dei redditi.
Dividendo così il flusso del nostro tempo è come se dividessimo, però, anche noi stessi.
Questo modo di agire e pensare è lo specchio dell’antica ferita, raccontata nel mito biblico, della caduta dall’Eden.
Possiamo raffigurarci l’Eden come un luogo realmente esistito sulla terra all’inizio della creazione, o come uno stato di coscienza, da cui siamo stati, per nostra stessa scelta, originariamente separati.
La “maledizione” che Dio lanciò nel mito lega curiosamente due componenti: quella del lavoro e quella del parto. Mentre l’uomo, caduto dallo stato di coscienza edenico, lo stato dell’unità, precipita in un mondo di fatica e dolore, in cui è costretto a procurarsi la sussistenza attraverso la fatica del lavoro, la donna dovrà consumarsi nel dolore del travaglio per mettere alla luce i suoi figli.
E’ curioso notare che il termine “lavoro” sia legato etimologicamente a quello di “travaglio”in diverse culture: l’inglese labor, o labour, significa proprio travaglio, mentre nello spagnolo troviamo una sola parola che indica entrambi: trabajo. Nel Meridione d’Italia, invece, il travaglio indica proprio il lavoro, come nella nota espressione “Vado a travagliare”.
Possiamo presupporre quindi, tenendo ferma l’idea dell’Eden come stato di coscienza, che tornare allo stato di unità originaria significa, oltre che fuoriuscire dall’idea di lavoro come sforzo teso alla sopravvivenza, anche fare ritorno ad uno stato di sapienza femminile volto alla riappropriazione della consapevolezza del corpo e al potere del suo auto-risanamento.
I movimenti della nascita e del sostentamento della nuova vita, affinché essa possa crescere e svilupparsi nel pieno appagamento di tutti i suoi bisogni materiali, sono legati. La cessazione del dolore della nascita significa anche la cessazione del dolore durante la vita del nuovo nato che potrebbe tornare, nello stato di coscienza unificato, a sperimentare l’appagamento della fase uterina, in cui nessuno sforzo deve essere compiuto per assicurarsi il nutrimento.
Allinearsi con le nuove, poderose, forze dell’universo potrebbe significare proprio ri-allinearsi con una saggezza materna più vasta, quella della terra stessa, che ci assicura ogni forma di nutrimento nel momento in cui ci sincronizziamo con il suo battito e le sue frequenze.
Pertanto, per tornare al preambolo del post, la segmentazione dei momenti della giornata, e dei macro-segmenti “lavoro”-“tempo libero”, è uno strascico di vecchia energia che nello stato di coscienza edenico viene a cadere. Questo significa anche la caduta dell’altra dualità legata alla precedente, “fatica”- “riposo”, poiché una volta allineati alle forze superiori di quinta o sesta dimensione, non c’è più tensione, o sforzo, nell’assicurarsi la sopravvivenza , ma, proprio come nell’Eden biblico, la terra produce da sé e senza sforzo i suoi frutti, come la madre mette al mondo senza dolore né sforzo i suoi figli.
bravissima
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Grazie Irene. 🙂
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