In questo articolo parlerò di una delle energie maestre che si canalizzano con molta frequenza durante le letture o canalizzazioni dei registri akashici.
Sto parlando dei Maestri legati al raggio verde. Questo raggio ha una funzione molto potente. Innanzitutto, sappiamo che la frequenza del colore verde è legata al cuore e in particolare all’energia del cosiddetto toroide. La guarigione e liberazione definitiva si raggiunge solo passando dal cuore, purificando quest’organo a livello fisico e sottile. Il chakra del cuore è collegato infatti alla quarta dimensione che è una dimensione ponte, si parla per questo di passaggio dalla terza alla quinta dimensione. La quarta dimensione è come il nostro ascensore, o come un portale, unica via di accesso al mondo sottile. Il contatto con la dimensione sottile, quella dell’Anima, è possibile solo a patto di aver purificato il cuore, a tal punto, che il suo peso, come vuole la dea egizia Maat, abbia lo stesso peso di una piuma.
Nel mondo dei registri Akashici uno dei Maestri deputato a lavorare con l’energia del cuore e con la sua frequenza è Hylarion.
Il Maestro Hylarion favorisce la guarigione a livello spirituale.
Tutti i disagi fisici e psichici, prima di riflettersi sul nostro sistema <<psicosomatico>>, hanno un’ origine che va fatta risalire al piano sottile o spirituale.
L’energia di questa Maestro favorisce il taglio dei legami karmici, dei patti animici, dei giuramenti e di tutti quei <<contratti>> che generano nodi e stagnazioni nel campo morfico, con conseguente liberazione dei blocchi sul piano fisico.
Ad esempio, possono esistere giuramenti a non praticare più magia naturale o intuitiva, fatti alla propria anima, magari in punto di morte, a seguito di persecuzioni, torture, morti violente.
Hylarion, sciogliendo il giuramento, può riportare l’Anima sulla strada della pratica, di modo che il suo dono spirituale trovi il modo di esprimersi.
La domanda che possiamo porre alla nostra parte intuitiva è, dunque: sento che qualcosa blocca il naturale fluire dei miei doni? Faccio fatica a individuare il mio dono e a vederlo manifestato nel mondo?
Lavorare con l’energia di Hylarion
Parola chiave di questa energia maestra è purificazione.
Si può favorire il lavoro con questo Maestro attraverso l’utilizzo di candele verdi, di oli essenziali come l’eucalipto, il tea tree oil, la mente e il limone. Per favorire il taglio di legami karmici e patti animici che non sono più utili alla nostra evoluzione si possono effettuare letture dei registri e chiedere al Maestro il totale annullamento dei suddetti.
Arkèodeas è un’esperienza di viaggio per portare l’invisibile nel visibile, per dare forma all’informe, al non nato, a ciò che, dall’altra parte del velo, incessantemente ci sussurra all’orecchio parole di amore e consapevolezza. La medicina della coscienza sarà la medicina del futuro. Detto in altri termini, l’unico modo che abbiamo per vivere una vita realizzata è quello di reintegrare le parti frammentate della nostra psiche somministrando un farmaco raro: la verità. La verità è pura e semplice, ma non può essere trovata fintanto che l’essere umano non si fa canale per manifestare l’invisibile in questo mondo. Un invisibile che chiede di essere solo riconosciuto per donarci, in cambio, ispirazione e realizzazione. La realizzazione sta nel risveglio ai noi stessi, alla missione che siamo venuti a compiere, il risveglio sta nell’incontro con l’unica radice del tempo: l’immortalità. …Se entri in questo mondo non troverai te stesso, perchè te stesso non esiste, tu sei il velo, sei la soglia, sei il passaggio e come tale non puoi fare altro che darti, danzando tra una dimensione e l’altra… Un Workshop per sanare in profondità il femminile arcaico La dimensione del sacro femminile non appartiene al genere femminile, appartiene a chiunque, è una dimensione di esistenza basata sulla compassione, la bellezza e la gentilezza. Non sarà possibile al divino manifestarsi in questa terra se prima non guariamo il nostro femminile profondo, non permettiamo alla compassione di emergere e di divenire unico faro e luce per guidare le decisioni politiche, etiche, i valori morali. La compassione non è tollerante proprio perché vuole tagliare le catene che legano gli individui ai pregiudizi, ai condizionamenti e alle limitazioni, affinché divengano liberi. La compassione può divenire guerriera per difendere il diritto di tutti ad esistere come Anime di luce e non come strumenti in mano al condizionamento della Mente Sociale. Il femminile arcaico ha oggi un profondo bisogno di essere guarito dallo stato di schiavitù, sottomissione, svalorizzazione a cui è stato sottoposto da secoli e secoli di violenza maschile e religiosa che lo hanno indotto ad una condizione cronica di colpa e martirio interiorizzato.
Le donne di oggi hanno la necessità di realizzare la loro Anima poiché da questo dipende la sopravvivenza stessa del Pianeta: la Grande Madre che attraverso le sue figlie, comincerà a guarire dalle sue ferite. Proprio come sono stati riversati veleni, tossine, emissioni inquinanti, nell’ecosistema, lo stesso è stato fatto al corpo della donna che è una sola cosa con Gaia. Mente e corpo della donna sono avvelenati fin nelle più recondite profondità. La donna ha un urgente bisogno di risvegliarsi dalla fantasia romantica dell’amore che la induce in uno stato di torpore, dipendenza, bisogno e sottomissione. Ha necessità di guardare ai suoi talenti e di non cercare più al di fuori di sé la fonte della propria salvezza e del proprio senso di vita. Spetta alla donna portare sulla terra il divino maschile, il maschio realizzato. Per rendere questa unione fondata sul matrimonio mistico possibile, deve prima guarire il suo terreno fino a farlo fiorire, fino a realizzarsi.
Il mito come codice dell’invisibile
….I miti scivolano nell’invisibile. Mostrano un viso ammaliatore, ma ciò che hanno dietro, quando li scrutiamo da vicino, svanisce. Non c’è più niente. Siamo smarriti nella foresta. … Il mito, dicevano gli antichi, è ciò che non è mai accaduto, è ciò che accade sempre. Le nuvole cambiano costantemente forma, assumono forme di streghe, angeli, ippogrifi…Sembrano tessere nel cielo il racconto del mondo…. Questo fa il mito. Il mito è e non è, viene plasmato, trasformato, scivola in versioni diverse, si fa cupo, si fa luminescente, è buono, cattivo, vero, falso…lascia sempre qualcosa di inafferrabile alla coscienza…e cos’è quel qualcosa? E’ l’invisibile stesso. Il mito cresce in menti abituate a relazionarsi con gli eventi naturali come se fossero spiriti…con animali come fossero guide…con la terra come se fosse una Madre, con il cielo come se fosse un Padre…
Per questo i miti sgorgano con facilità nelle menti di esseri umani liberi e capaci di dialogare con le forze naturali. L’essere umano mitico sa che il suo corpo è solo un miraggio, che presto tornerà al fuoco, alla roccia, al vento e che sono proprio questi elementi a tenerlo unito. Senza la pioggia e il temporale il suo corpo si disgregherebbe, senza il sole appassirebbe. Le donne che danno alla luce figli, danno figli alla terra, all’acqua, al fuoco, dando alla luce la vita e insieme lo spirito che si fa carne, ma che è allo stesso tempo legato alla sua radice immortale e che quindi non ha alcun corpo, alcuna sostanza, appartiene allo scorrere delle cose. Nel rimescolio e nel farsi e disfarsi delle cose esistono sostanze numinose e magiche che sostengono la vita e che da questa sono sostenute, disgiungersi da queste forze magiche sarebbe un’eresia, in grado di condurre l’uomo facilmente alla follia e alla dissoluzione. Come si fa a tener vivo il rapporto con queste forse vivificatrici per ottenere da loro protezione e perché la vita continui a conservarsi? A queste forze si predispongono riti, sacrifici e si onorano attraverso il racconto mitico che le decodifica per portarle nella dimensione visibile. Nella dimensione visibile le forze vengono narrate, ma non imprigionate, perché un’idea, che è un Dio, riportata in vita attraverso il mito, porta di quel Dio, di quell’idea, il profumo stesso, ne è pervasa. Il pensiero mitico è un pensiero che ha la saggezza di creare porte ed entrate per permettere alle forze magiche di passare e manifestarsi, è un modo per garantire un ordine e non permettere allo spirito della comunità di disgregarsi e cadere in mano alle forze della paura. Non fare questo, non sacrificare, non officiare, non aprire le porte alla dimensione dell’al di là, non narrare, condanna la storia del mondo all’oblio. La caratteristica del mito è l’oralità, nel mondo che precede la scrittura, l’essere umano è assorbito dal senso dell’udito, più che da quello della vista. Il nostro mondo di oggi si basa sul vedere, il mondo del passato si basava sull’ascoltare. Il senso dell’udito rendeva l’essere umano coesistente con la dimensione che lo ospitava che non veniva dissezionata e analizzata come accadrà poi entrando nel dominio della vista. L’oralità ha anche la caratteristica di essere irrepetibile. Il racconto non scritto è un mutaforma, perché non è confinato nella pagina. Resta appannaggio dell’infinito, dell’incredulità e della meraviglia. Il mito come chiave di guarigione per il femminile arcaico Chi sono le donne del mito e quali storie raccontano? Esisteva forse una saggezza nelle donne che ci hanno preceduto, in grado di lasciare chiavi di liberazione là dove meno uno se le aspetterebbe? Nella mia ipotesi, i miti contengono queste tracce poiché sono stati generati in un mondo libero e sono universali e atemporali, sono in grado di spezzare le catene della storia e restituirci rinnovate al mondo. Sono rivolti all’intero genere femminile. Sono transculturali e parlano direttamente all’inconscio collettivo. I miti sono in grado di trasformare il nostro DNA. Nati in una dimensione di tempo, sono stati generati per venire in soccorso alle donne di questo tempo, in una delle fasi più difficili della loro storia, dove occorre urgentemente una deprogrammazione dal mito sociale per un ritorno al mito naturale. Quale strumento? Non è sufficiente fruire passivamente la trasmissione del racconto: c’è bisogno anche di altro, uno strumento che faccia riportare ad una dimensione materica, istintuale e creativa, la narrazione del mito. Il mediatore artistico è ciò che più avvicina la donna alla sua dimensione istintuale e sensuale. Non possiamo però utilizzare un mediatore artistico che necessiti di troppa tecnica, è indicativa un’arte di tipo figurativo che sia di immediato accesso a chiunque. Il collage si presta molto bene allo scopo, perché sono necessari materiali semplici, di largo consumo e spesso riciclabili. Si possono adottare, oltre ai ritagli di giornale, anche altre materiali come perline, tessuti, stoffe, conchiglie, bottoni e mano mano, nel corso degli incontri, inserire anche tempere, acquerelli, acrilici, ecc… La cosa più importante è che la creazione resti il più possibile libera da ogni schema e ansia da prestazione. Non ci interessa creare nulla di tecnicamente perfetto, ci interessa esprimere un’emozione nella forma di archetipo. Le immagini di arkeodéas sono uniche e allo stesso tempo, semplici, sono immagini di volti, abbinate a luoghi naturali, piante, fiori, animali, o altri elementi simbolici.
Queste immagini risultano fedeli riproduzioni di quello che è il terreno psichico della donna. Sono un’istantanea fotografica del loro mondo interiore, che si esprime nella forma di un archetipo. Secondo le mie ricerche, esiste alla base di ogni patologia, sia essa psichica che fisica la narrazioe di un archetipo, che è immaginabile come una nota della scala musicale. Ciascuno di noi nel momento della sua nascita, ha l’impronta di un suono (o archetipo) che sarà chiamato a “narrare” in vita. Questo perché gli spiriti amano farsi riconoscere in questo modo, raccontando la propria stessa vicenda, nel corpo e anima dei loro “prescelti”. Il trauma è spesso un’indicazione di ciò che è l’archetipo dominante che stiamo portando sulla scena. La strada è in realtà vedere secondo la logica del paradosso questo aspetto, l’archetipo (o archetipi) che ci governano ci danno una via d’uscita dal trauma e dalla recita nel momento in cui ne riconosciamo le fattezze e li “riesumiamo” dall’oblio della nostra stessa coscienza. Facendo così creiamo un pantheon psichico in cui ciò che ci ha fatto ammalare diventa il nostro nume tutelare, si trasforma nel genio, nel daimon.
Gli amori impossibili, seppur molto costosi a livello di terza dimensione, si configurano come vere e proprie benedizioni per il cammino evolutivo dell’anima.
Non c’è niente in grado di spazzare via dal campo morfico tutto il karma accumulato a livello familiare, individuale e collettivo, come l’amore nei suoi termini assoluti ed universali.
In questo scenario, la sfida del percorso Fiamma Gemella è la più difficile che un’Anima possa scegliere, ma è, allo stesso tempo, il miglior acceleratore di guarigione su tutti i piani dell’essere.
Per affronate il percorso dalla giusta prospettiva, non come un’opportunità di “sistemarsi nella propria zona di confort”, ma come un’avvincente chiamata al risveglio, serve equipaggiarsi di consapevolezza, occorre ritrovare la radice di sè stesse e la luce del proprio dharma. Questo significa arrivare a fare ciò per cui si è nate, nel modo più naturale, lieve e piacevole possibile.
Tutto ciò che nel percorso di Fiamma, appare come un fallimento, una sconfitta sul piano di terza dimensione, è ciò che permette, all’Anima di riconoscersi, prendere forma e dare inizio al proprio cammino.
E’ una morte rituale, la morte più oscura e dolorosa che dà inizio alla luce più chiara e imperitura.
La Dea Triplice Edito da Abrabooks, contiene le più importanti chiavi per agire ed essere nel percorso di Fiamma in allineamento con Anima e con la vibrazione di unione alla propria spiritualità. E’ solo agendo e calandoci profondamente ed intensamente in questa unione interiore con la nostra radice mitica e transpersonale che possiamo accedere ai doni che questo percorso miracoloso ci riserva.
Nelle storie delle tre donne di potere che percorrono le loro strade iniziatiche, in tre diverse stratificazioni di spazio e di tempo, si rinviene sempre allo stesso incontro con la controparte maschile, questo incontro libera lacerando ed avvia queste tre espressioni di femminile arcaico ed ancestrale, sulla strada del cammino di liberazione.
Quando l’eroina giunge alla fine del suo viaggio iniziatico, ha trasfiguarato completamente e radicalmente sè stessa, ha sacrificato il suo Io maschera, in nome del ritrovamento della sua essenza eterna.
Ogni viaggio termina con un risarcimento, con un dono, che arriva in veste di miracolo, per il sacrificio compiuto.
Il dono di chi ha vissuto questo percorso con le profondità delle proprie viscere e della propria carne è dono che illumina e guarisce il mondo, poichè solo chi è morto in vita, può farsi guida, teurgo, ostetrica della luce degli altri, solo chi è morto a sè stesso e conosce l’impatto della lacerazione più estrema e del suo contenuto simbolico e rituale.
Vi auguro di cuore di perdervi per le strade senza tempo di queste tre amanti cosmiche e di scoprire attraverso le loro storie come tornare a cavalcare il destriero della vostra anima selvaggia.
La vigilia di Santa Lucia e’ una delle tante feste solstiziali che ricorrono in questo periodo dell’anno.
Fino alla meta’ del XIV secolo, il 13 dicembre cadeva il solstizio d’inverno e, infatti, anche questa festa in onore della Santa ripercorre i mitemi tipici delle celebrazioni solstiziali: ci si ritrova tra i congiunti per festeggiare intorno fuoco, si accendono lumini e lucine, si ricevono doni. Nel bergamasco, l’usanza e’ quella di disporre sul davanzale delle cucine dolcetti e fieno per l’asinello sulla cui groppa, la leggenda vuole, Santa Lucia passi per distribuire dolcetti ai bambini.
La ricorrenza e’ ovviamente molto sentita in Sicilia soprattutto nella citta’ di Siracusa, di cui la Santa e’ patrona, ma si e’ diffusa poi un po’ ovunque in Italia e in particolare in Veneto.
Nei paesi Sandinavi e in Svezia questa e’ una notte tra le piu’ celebrate dell’anno.
Nella zona delle Apuane, da cui provengo, si ha come tradizione quella di preparare i “bollenti” o “necci”, che sono frittelle di farina di castagnaccio cotte al fuoco sui tipici “testi”, due piastre di ferro entro cui si mette il composto di acqua e farina. I bollenti vengono poi farciti con ricotta o affettati tipici come biroldo o lardo di colonnata.
Bollenti e testi. Foto di Nicoletta Antonioli
Con il beneficio del dubbio potrei avanzare l’ipotesi che questa tradizione si ricolleghi al divieto, diffuso in Sicilia, di mangiare derivati del grano nei giorni dedicati alla Santa.
Il divieto, poi adottato anche dalla Chiesa, nasce per commemorare il miracolo attribuito alla Santa che, il 13 maggio del 1646, fece attraccare al porto di Palermo un bastimento carico di grano e mise cosi’ fine a una lunga carestia.
Si narra che, vinti dalla troppa fame, i palermitani non si presero nemmeno la briga di macinare il grano ma lo mangiarono bollito e condito con un po’ d’olio, dando origine alla pietanza simbolo della festa di Santa Lucia siciliana: la cuccìa. I farinacei sono, dunque, banditi dalla tavola tradizionale nella giornata del 13, sostituiti da panelle di farina di ceci, arancine di riso e legumi.
Probabilmente anche in zona apuana si e’ risentito di questa influenza, astenendosi per la vigilia della ricorrenza dal consumare farina di grano e sostituendola con quella di castagne, tipica delle nostre zone.
Per il substrato precristiano, condiviso da ogni Santo, il riferimento qui e’ la Dea Lucina, preceduta dalla Dea greca Ilizia.
Santa Lucia assorbe dalle sue predecessore il compito di condurre alla luce. Queste dee pagane erano infatti dee dei parti, accompagnavano il nascituro alla luce. La Lucia cristiana ripropone il mitema: patrona degli occhi e degli oculisti (viene infatti rappresentata mentre regge un piattino con due occhi), ha rinunciato alla sua vista fisica per accedere alla luce dello Spirito.
In questa finestra temporale che va dal principio dell’avvento fino all’epifania, si concentrano una serie di ricorrenze e festivita’ che ruotano tutte intorno all’evento sosltiziale.
E’ interessante notare come in ognuna di esse ricorra sempre il solito motivo rituale, che è rappresentato dalla pratica del dono, che trae la sua origine nei culti agricoli precristiani.
Prima di Sant’Ambrogio, incontriamo, il 6 dicembre, la festa di San Nicola, il cui nome venne storpiato dagli olandesi in Santa Claus. La tradizione natalizia di Santa Claus fu condotta oltreoceano dagli emigrati. Qui, l’immagine del santo venne trasformata dall’industria pubblicitaria degli anni ’30, nella celebre icona di Babbo Natale che oggi conosciamo. Con Babbo Natale, San Nicola condivideva la tradizione del dono che fino a poco tempo fa sopravviveva nelle Puglie e nell’Europa orientale, dove si usava lasciare ai bambini dolcetti e regalini in occasione del 6 dicembre.
Un’altra Santa che condivide la funzione solstiziale di San Nicola, della Befana e del Bambino Gesù è Santa Lucia, la cui ricorrenza cade il 13 dicembre. Questa data, nella prima metà del XIV secolo coincideva con il solstizio d’inverno e difatti il nome della Santa ha in sè la radice di lux, lucis. La tradizione del dono per il giorno di Santa Lucia è diffusa in Veneto e nelle regione confinanti dell’Austria, della Repubblica Ceca, della Slovacchia e nei paesi Scandinavi.
Nel Bergamasco, un tempo sotto la dominazione veneta, Santa Lucia riceve le letterine dei bambini e poi passa la notte della vigilia a cavallo del suo asinello, per lasciare i doni dentro scarpette che venivano poste sul davanzale delle cucine. In cambio venivano lasciati alla Santa dolcetti e fieno per l’asinello.
Le stesse tradizioni si ritrovano poi in occasione della vigilia di Natale e dell’epifania. Anche i Re Magi, conducono alla grotta di Betlemme, oro, incenso e mirra ripercorrendo, dunque, sempre lo stesso motivo rituale.
Naturalmente i doni della tradizione avevano poco a che fare con quelli a cui siamo abituati oggi. Generalmente erano dolcetti di marzapane, frutta secca, mele, zenzero, torroncini, zuccherini. Erano doni simbolici perchè rappresentavano il buon augurio per il ritorno della luce e ponevano il seme per l’avvento del nuovo ciclo agricolo legato al semestre lumionoso. Avevano dunque una funzione apotropaica e sacrificale. “Sacrificale” perche’ questo arco di tempo, nella tradizione contadina e’ il momento dell’anno più critico e difficile, il momento in cui si sperimenta la maggior scarsita’ di cibo, in cui la terra riposa e si puo’ contare solo sulle provviste e riserve che si sono accumulate durante il periodo produttivo. E’ dunque difficile privarsi in questo momento di parte delle scorte, ma e’ proprio attraverso questo”sacrificio”che si consolida la Fede, che e’, di fondo, Fede nella Luce, nel ritorno del semestre luminoso, nella spiga nei campi e nella gemma sugli alberi. Il dono antico rappresentava l’anticipazione dell’abbandonanza che si sperava arrivasse con la nuova buona stagione. Lo stesso significato assumevano i grandi pasti consumati nei giorni delle Feste. Il piccolo bambino che nasce, rappresenta il sole ancora giovane e lontano che inizia comunque ad intensificare la sua luminosita’ e a maturare a poco a poco il suo calore. I doni ai bambini sono proprio simboli dei doni al piccolo Dio Sole che e’ appena nato e che ha appena cominciato a crescere.
Il simbolo del dono porta in se’ un significato spirituale molto profondo, rappresentando la definitiva vittoria dell’anima sulla personalita, sull’ego perche il dono e’ per sua natura cio’ che viene lasciato andare senza aspettarsi niente in cambio. Il donare con questo tipo di intenzione purifica, libera ed eleva. I doni delle feste sono invece diventati, ad oggi, un’incombenza noiosa e forzata e tanto piu’ inautentica, di uno dei tanti doveri da espletare di cui si farrebbe volentieri a meno. La pressione al consumo è, inoltre, talmente intensa e martellante in questo periodo dell’anno che invece di ripulire e alleggerire, sollecita la parte ombra, l’ego, conducendo all’attaccamento verso la materialita’. Inoltre, la civilita’ in cui siamo cresciuti ha privato l’essere umano dell’amore per il dono perche’ siamo sempre stati sommersi da una finta abbondanza, effimera, plastificata, usa e getta, svuotata di significato e a cui possiamo solo attribuire la funzione di aver tentato di colmare, in modo del tutto fallimetare, i vuoti e le angosce dell’essere umano che sopravvive faticosamente in un mondo privato della sua cornice di senso, del suo legame con il sacro e con la natura.
Ben diverso era il senso antico del dono che si puo’ senz’altro ritrovare attraverso un ritorno alla creativita’ e manualita’. Ciascuno di noi possiede un’abilita’, qualcosa che ama fare e la cui creazione genera piacere, che sia anche preparare una torta di mele o dei biscotti. Il creare il dono partendo dalle proprie mani aiuta a svincolarsi dalla ragnatela del consumismo ossessivo dell’homo consumens e della civilta’ desacralizzata e a ritrovare la naturalita’ e la vera essenza di questo periodo dell’anno. Il privilegiare materiale di origine naturale, inoltre, aiuta a recuperare un legame con l’antica funzione apotropaica del donare i frutti delle proprie provviste per ingraziarsi la terra e prospettarsi un nuovo ciclo di abbandonanza. Entrando nei circuiti del mercato disperderemo energia, al contrario, affidandoci alla trasformazione creativa, generemo davvero abbondanza e ci aiuteremo a connetterci con il cuore. Nell’opera creativa possiamo pensare alla persona che ricevera’ il nostro dono con amore e questo, stati pur certi, arrivera’ alla persona interessata. Per trarre massimo giovamento da questo periodo dell’anno, che e’ un momento di vera luce e magia, dobbiamo avere la saggezza di isolarci dall’energia compulsiva e consumistica che ci circonda e dirottare l’attenzione dell’anima verso la vera essenza del dono antico dove il significato sacro e il cuore prevalgono sul valore economico e sull’ apparenza. In questo modo il nostro donare sara’ sacrificio cioe’ sacrum facere, fare sacro, veicolo privilegiato per la riconnessione con lo Spirito della Natura e con il Dio Sole, Helios, il Sol Invictus.