Chinnamasta la Dea che si automutila e il segreto del sacrificio

Per chi è sulla strada di crescita spirtuale, per tutti coloro che sono alla ricerca della piena realizzazione attraverso l’individuazione di una via del Sacro, è forse apparsa più volte chiara la comprensione che questo tipo di cammino sia fatto più di “togliere” che di “aggiungere”. La via dell’autentica spiritualità, infatti, ci porta non già alla suprema riuscita dell’Io, ma al suo disfacimento, al rinunicare ad ogni maschera e corazza per darci nudi al ricongiungimento con la nostra stessa eterna essenza. Le tappe di questo cammino sono dunque costellate da “sacrifici”: atti attraverso cui dimostriamo il nostro coraggio rinunicando ai piccoli attaccamenti per donarci a qualcosa di più grande che non offre alcuna certezza, che non può essere misurato e che, nonostante questo, è l’unica ultima realtà impermanente ed imperitura.

Lo sapevano bene gli antichi indu che veneravano questa Dea. Chinnamasta ci conduce ad un messaggio di una potenza inaudita. La Dea è rappresentata in modo cruento: tiene la sua stessa testa tra le mani e con il sangue che sgorga a fiotti violenti dal collo tranciato, abbevera le sue assistenti e se stessa.

In questa veste la Shakti cosmica è rappresentata nell’atto supremo del darsi e del liberarsi. Ai suoi piedi, vi sono i due principi primi, nella loro veste terrena, rappresentati come Re e Regina uniti in un amplesso tantrico.

Ciò che questa immagina potentemente ci suggerisce è che l’unione erotica, nel principio del tantra, è possibile solo a mezzo del sacrificio di sè, della perdita di sè, della perdita della mente, che è affermazione dell’Io, controllo e potere. Chinnamasta esegue l’atto di liberarsi dagli attaccamenti dell’Io in modo violento, deciso, senza temere le conseguenze, sa che il sacrificio significa in realtà abbondanza, potenza, prosperità, perchè è solo quando siamo molto pieni, pieni fino all’orlo di noi stessi che possiamo darci la possibilità di straripare senza temere conseguenze, senza il rischio di sentirci svuotati dalle nostre energie, poichè in questo stato di pienezza il darsi significa ricevere abbondanza e piena realizzazione.

La donna Chinnamasta è colei che abbandona, nella sua vita storica, le convenzioni e le maschere sociali, che lascia la casa, il lavoro sicuro, il compagno storico per gettarsi a capofitto nel viaggio verso il deserto. Nel deserto la sua anima si riflette e trova serenità, poichè il deserto, proprio come lei, ha rinunicato ai suoi frutti, per dare se stesso, spoglio, nudo, arido, senza filtri, alla vastità del cielo e del sole. La donna Chinnamsata è una donna che predilige il nomadismo alla stanzialità, che fatica a mettere radici poichè ha dentro di sè una chiamata radicale verso il risveglio. Deve combattere le estenuanti forze della mente del mondo che ha paura delle donne come lei, poichè le donne come lei, non avendo nulla da perdere, sono libere e incontrollabili. Su queste donne la pressione sociale e il condizionamento devono deporre le armi. Chinnamasta si fa liberatrice di altre anime. La sua vita è interamente data al servizio dell’Opera, getta sè stessa ogni giorno al di là dell’ostacolo con lo scopo di liberarsi e, allo stesso tempo, liberare quante più anime possibile.

Ha superato la dualità, rappresentata dai due principi che vengono alimentati dal suo stesso sangue.

Negli antichi rituali tantrici, il sangue era un elemento centrale, insieme ai fluidi corporali della donna e dell’uomo, veniva annusato, manipolato, ingurgitato. I fluidi del corpo sono per i discepoli del tantra le fonti condensate del vero risveglio, là dove lo Spirito del praticante può unirsi con la manifestazione della Madre, della Natura, nelle sue espressioni più istintuali, animalesche e selvagge. Per questo era necessario beve il sangue della propria amante, bere il seme del proprio amante.

In molte tradizione troviamo il mito dello smembramento, del cadavere, dello scheletro, legato proprio a questo signficato di estremo sacrificio rituale.

In un’altra tradizione più lontana, quella degli Inuit dell’artico, troviamo un’altra Dea, dalla cui mutilazione hanno origine le ricchiezze del mare e dei suoi abitanti, che è Sedna, a cui ci dedicheremo in un altro articolo.

Quello che conta, il messaggio che vive in questi miti, è che da ogni perdita radicale e assoluta si genera un bene prezioso. Sacrificare sè stessi vuole anche dire sacrificare il proprio io sociale per far valere, in ogni momento, la propria autenitictà senza temere di venire per questo derisi, esclusi, giudicati. Significa fare della propria originalità e diversità un punto di forza da cui partire per elaborare e condividere la propria visione, andare oltre l’omologazione. Perdere parti di sè, come nel caso dello smembramento rituale, significa dare se stessi e il poprio corpo all’Unione con il Divino che, in fin dei conti, è il significato più puro della vita, dal momento che, sulla via del sentiero del risveglio, il corpo viene bruciato, martoriato, smembrato allo scopo di permettere alla luce di entrare.

I sacrifici rituali, i veri sacririci, e non quelli della mortificazione cattolica a cui siamo stati educati, tolgono per poi dare quintuplicato il valore di ciò che è stato dato e richiedono corraggio e non abnegazione. Richiedono Forza e non sottomissione, sono i sacrifici che rendono possibile il crollo degli ostacoli che si frappongono nel nostro cammino attraverso l’urolo viscerale e l’audacia di Chinnamasta.

Evoca la forza di questa Dea quando ti trovi nei momenti di svolta della tua vita. Quando tutto sembra cambiare radicalmente e rapidamente. Quando sembra che il mondo ti stia crollando addosso, ma è solo per mostrarti il cielo. Quando stai vivendo il bruciore della perdita, prega Chinnamasta, datti a lei, e abbi fede perchè trasformerà quella ferita aperta in dono, in miracolo, attraverso l’emergere di un significato più ampio del tuo stare al mondo, attraverso ispirazioni, opportunità e conoscenze inaspettate.

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